Villa Barbarigo
a Noventa Vicentina
Fra le numerose ville costruite nel vicentino dai patrizi veneziani, quella di Noventa si distingue perchè edificata da una famiglia dogale, distintasi nei secoli al servizio della Serenissima. Per questo motivo essa merita il titolo di Villa dei Dogi (definizione che in passato alcuni studiosi avevano impropriamente attribuito a tutte le ville venete). Qui tutto concorre a glorificare la famiglia Barbarigo: dall’imponenza dell’architettura – che si sviluppa su quattro piani – alla facciata scenografica e solenne coronata da obelischi e inquadrata da due ali di portici, fino al vastissimo ciclo di affreschi che copre una superficie di circa 430 mq.
Presenti a Noventa fin dal 1497, i Barbarigo affidarono nel 1588 ad un certo “mastro Venturin muraro” l’incarico di costruire una villa che rispondesse essenzialmente a due esigenze: la ricerca dell’utile attraverso l’attività agricola (ed ecco l’ampia “piazza agraria” racchiusa dal porticato) e la celebrazione della “gens”. Infatti, i Barbarigo avevano progressivamente investito notevoli capitali nell’acquisto di beni fondiari a Noventa, stabilendo, inoltre, stretti legami con i rappresentanti della comunità locale. La villa divenne così, contemporaneamente, centro propulsore di attività agricole, simbolo del prestigio e delle fortune economiche dei committenti oltre che nodo urbanistico attorno al quale venne organizzandosi nei secoli l’abitato di Noventa.
Ma il titolo di “villa dei Dogi” spetta ad essa soprattutto per gli affreschi, realizzati da artisti come Antonio Foler, Antonio Vassillacchi detto l’Aliense e Luca Ferrari da Reggio. Se, infatti, le pitture del secondo piano (risalenti alla metà del diciassettesimo secolo) sono caratterizzate da toni più intimisti, da un più accentuato gusto letterario, nel piano nobile – destinato ad udienze pubbliche e quindi più ufficiale – sono narrate le imprese dei più illustri esponenti della famiglia e sono effigiati i due Dogi Marco ed Agostino.
Caso unico in tutta le storia di Venezia essi si succedettero nel trono dogale (il primo fu doge dal novembre del 1485, il secondo dall’agosto del 1486), ma governarono in modo assai diverso, come diversa fu la loro personalità. Così, nella sala di Marco – pacifico, tollerante e paterno – troviamo accanto al ritratto del doge le Allegorie della Pace, dell’Abbondanza, dell’Obbedienza, della Prudenza e della vera Sapienza, mentre le Allegorie della Fama, della Fortuna e della Guerra dipinte nella sala dedicata ad Agostino ne sottolineano il carattere militaresco, intransigente ed autoritario, che risalta anche nell’energico ritratto realizzato dall’Aliense.