Villa Repeta
a Campiglia dei Berici
Uno dei più significativi esempi dello stretto rapporto che legava gli ideali e le aspirazioni dei committenti alle scelte stilistiche degli architetti è offerto dalle due ville progettate per i Repeta, nobili vicentini, a Campiglia dei Berici.
Della prima, ideata da Andrea Palladio per Mario Repeta (che voleva con essa onorare la memoria del padre Francesco,aristocratico umanista), non rimane traccia. L’unica testimonianza è la descrizione nel trattato “I Quattro Libri dell’Architettura” e subito colpisce la sua originale impostazione: ad un solo piano, l’edificio appare come un lungo portico che su tre lati racchiude un vasto cortile.
Nessun particolare decorativo distingue il corpo padronale dai fabbricati destinati agli usi agricoli e, curiosamente, il frontone classico (che in genere nobilitava le facciate delle dimore signorili) qui sovrasta il passaggio dal cortile ai campi. La villa di Mario Repeta è, quindi, espressione di una concezione di vita del tutto particolare in cui confluivano ideali egualitari di evidente matrice luterana ( a causa dei quali contro Mario verrà presentata nel 1569 una denuncia anonima al Sant’Uffizio) e la cultura grecizzante della cerchia di Giangiorgio Trissino.
Ecco, quindi, il rifiuto di ogni ordine gerarchico, di ogni discriminazione fra aristocratici e “villani”, ed ecco un edificio scandito da colonne come l’agorà, nostalgica rievocazione del mondo sereno ed armonioso dei Greci e, come la “Casa dei Greci” descritta dal Palladio, aperto ed ospitale. In quest’ottica vanno interpretati anche gli affreschi di Giambattista Maganza il Vecchio che dovevano decorare gli interni della villa e che elogiavano le Virtù in modo tale che il proprietario potesse “alloggiare i suoi forestieri et amici nella camera di quella virtù, alla quale essi gli parranno haver più inclinato l’animo”. Si trattava, però, di un’utopia, di un progetto che rispecchiava gli ideali di un raffinato umanista in odore di eresia ma totalmente incomprensibile ai successori.
Completamente diversa sarà, infatti, la villa edificata nel 1672 ( tuttora visibile) da Enea e Scipione Repeta e che, a detta dei committenti, sarebbe stata più elegante di quella palladiana perchè più consona agli ideali estetici del Seicento.
È un edificio chiuso e severo, con una loggia solo nel prospetto rivolto alla campagna, separato dalla strada principale da un profondo fossato e, come scrisse nel 1740 il Muttoni, “fatto in figura marziale con baluardi negli angoli”. Questa impronta militaresca e feudale ben si addiceva ai committenti della villa, che appartenevano ad una famiglia la quale fin dal 1217 aveva ricevuto in feudo il territorio di Campiglia e che, in cambio della conferma dei propri diritti feudali,doveva servitù militari alla Serenissima.
Un documento del 1703 stabiliva, infatti, che Enea (Sergente generale di battaglia) e Scipione “caratterizzati col nome di Vassalli e Feudatari, saranno pronti in tempo di Guerra per il servitio militare”. La nuova villa, quindi, austera, nettamente separata dagli edifici rustici, affiancata da un “Serraglio” destinato ad esercitazioni militari, diventa lo specchio delle ambizioni e delle aspirazioni dei feudatari di Campiglia.